Sotto Alt(r)o Natale

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Installazione artistica di Damiano Fustinoni e Marco Ronzoni presso la Parrocchia di Sant'Antonio a Valtesse (Bg) - Santo Natale 2013 - carrello delle miniere dell'Albani, blenda, fluorite viola e luce.

 
 

Riempirò di nuovo questo carrello.
Ancora.
Almeno un’altra volta.
Nonostante le ore di cammino.
Nonostante il freddo dell’inverno.
Nonostante la leggerezza della polvere
come neve posata sui polmoni.
Nonostante sia vicina una carica inesplosa.
Nonostante il buio.
Ho seguito la vena
come un segugio la traccia.
Ancora un colpo,
poi sarò sfinito.
Ancora uno,
e sarò vuoto.
Uno solo,
e sarà pieno.
Di pietre.
Di domande.
Di attese.
Di speranza.
Che tra questi massi
ci sia quello cercato,
quello prezioso.
Qui in miniera,
quando la lampada si spegne,
si attende,
come un contadino dopo la semina.
La luce arriva con l’Alt(r)o,
colui che mi cerca,
mi sta accanto
e con me spingerà
fino all’abbraccio dell’aria,
fino a veder di nuovo sorridere
chi mi attende a casa.

       Damiano Fustinoni

 
 

Carrelli di Speranza di don Franco Castelli

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Il Natale, paradossalmente, si fa per celebrare la terra. Per celebrare il cielo, correggerebbe qualcuno. È vero, ma il cielo lo celebrano tutte le religioni. Siamo qui, invece, per celebrare la terra. Perché qui sta l’inedito del Natale: che lui, Dio, il figlio di Dio, ha piantato la sua tenda su questa terra, si è fatto terrestre, si è fatto uomo come noi.
Siamo qui allora per celebrare l’uomo. “Per celebrare Dio”, correggerebbe qualcuno. Ma Dio lo celebrano tutte le religioni. Oggi invece noi celebriamo un Dio, il Figlio di Dio che si è fatto carne. Cioè umanità, si è umanizzato!
Il Natale è da comprendere dentro al grande mistero del progetto di Dio che è la sua Sapienza, la sua Parola.
Tutto ciò che esiste è frutto di un sapienza divina: Dio ha pensato alla creazione, tutto ciò che esiste è stato voluto, pensato da Dio, il che spiega come tanti uomini hanno saputo trovare tracce di Dio nella natura, nella bellezza del mondo, nel fuoco, nell’acqua, nel sole, nelle stelle.. Ma Dio non si è fermato a costruire questo mondo, questo scenario della creazione, ma lo ha messo in piedi con uno scopo ben preciso, quello di metterci dentro qualcuno che lo ascoltasse, che parlasse con lui che lo ospitasse, che gli raccontasse le sue storie, che imparasse ad amarsi, a fare i figli, a lavorare per custodire il mondo, per far fruttificare la terra.
Il Natale, paradossalmente, si fa per celebrare la terra. Per celebrare il cielo correggerebbe qualcuno. è vero, ma tutto ciò che conosco del cielo lo so perchè Dio ha parlato affidando la sua “Parola” a persone concrete, alla storia di un popolo concreto, e “non per ultimo” a suo figlio Gesù di Nazareth. Egli è il verbo di Dio, la sapienza di Dio incarnata, è Dio che vuole comunicare all’uomo, che vuole che le nostre cose, case, figli, lavoro, gioie, fatiche, siano salvate; la sofferenza, il dolore, la gioia, la vita in tutte le sue espressioni, siano salvate.
E allora ci sembra possibile, reale, celebrare il Natale anche qui, davanti a questi carrelli, segno di una storia concreta, che è stata nel cuore di Dio, che è salvata, e quindi chiede di essere ascoltata a testimonianza di questo sempre emblematico incontro, questo dialogo Dio-uomo.
Come Dio posiamo lo sguardo su quei carrelli con tutta la storia che si portano dietro, con la guadagnata ruggine degli anni e dei percorsi chilometrici fatti, per arrivare a raccontare di volti truccati dalla polvere e dalla fuliggine.

Questi carrelli che hanno viaggiato nelle grotte scavate nella roccia, nei meandri bui ed angusti del sottosuolo, carichi di anime, di ombre, di minerali, di aria densa, di umidità palpabile, ma anche guidati, oltre la stanchezza, dalla forza di volontà di braccia decise, verso la superficie, verso la luce; questi carrelli che hanno fatto la spola tra gli abissi profondi della terra e gli spazi ariosi e liberi delle pendici dei monti ci dicono di quel viaggio, di quel percorso che anche Dio continuamente fa dalla pienezza della sua identità e libertà al farsi uomo terrestre, abitante della terra, uomo tra gli uomini per entrare in sintonia con gli abissi del cuore dell’uomo. Dio da sempre ascolta il grido dell’umanità ferita, affaticata, oppressa, emarginata; ascolta gli abissi spesso cupi e drammatici, smarriti e chiusi, persi e violenti dei cuori degli uomini. E quanto si può scavare nel cuore degli uomini prima di trovare un po’ di luce, di amore, di grazia?
Lo sguardo di Dio si ritrova compagno di viaggio dei minatori e della loro continua lotta per superare il buio e la mancanza d’aria del loro cuore. Se, infatti, da una parte l’umanità del minatore è legata alla necessità di procurarsi il pane, dallo sforzo di “guadagnarsi” il vivere, dalla fatica e dalla crudezza di scavare cunicoli e caverne, dall'altra la sua umanità sporge verso spazi infiniti di aspirazioni, di desideri, e sogni, della propria ricerca di un senso, di un perché..
Una umanità in ricerca di se stessa perché il lavoro non soffochi e non schiavizzi, non faccia diventare come macchine incoscienti o corpi disumanizzati, ma che si mantiene nella speranza di essere persone, di essere e restare figli, mariti, amici, utili ai propri cari, a chi li aspetta con un po’ di calore famigliare e li ricompensa nella tenerezza e nella dolcezza di una casa.
Dio guarda con amorevolezza la sintonia dei minatori tra di loro, solidali quasi per forza, nella necessità di affrontare insieme i pericoli, gli imprevisti, la durezza del lavoro e l’incertezza sempre in agguato delle scelte da fare nell'intraprendere una direzione, nell'aggredire la roccia, nel farsi strada con mine ed esplosioni. Gas, rivoli o sacche di acqua, minacce diverse che si superano affidandosi gli uni gli altri, nella fiducia che ciascuno si impegni prima per gli altri prima che per se stesso, perché solo così ci si dà reciprocamente la certezza che tutti ogni giorno si ritorni alla luce, alla propria casa. Si sa che la miniera a volte ha sapore di crudeltà, di non futuro, di non ritorno, ma si condivide una compassione reciproca, una forza di affidamento in nome di una fede che non sia destino vuoto o punizione gratuita ma il sapere che anche Dio ha provato la sofferenza, è entrato nei meandri della terra con la morte e che ha vinto la morte donando se stesso, la sua umanità per la resurrezione degli uomini.
“Lui si è fatto uno di noi” e in questo suo Natale sta la certezza che viene ad abitare in ogni uomo e con lui viene ad attraversare tutti i “Mar Rosso” e tutti i deserti che ha di fronte per arrivare alla Terra promessa. Dio non ha paura delle profondità della terra e di accompagnare l’uomo nelle avversità della vita, solo non può far nulla là dove l’uomo gli impedisce di entrare nelle sue profondità, nelle viscere del suo corpo terrestre.
Dio si fa Parola nel profondo intimo del minatore per sorreggerlo nelle paure, nelle difficoltà, nelle malattie, nelle ansie, E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
nelle delusioni, nella quotidiana drammaticità del suo lavoro, aprendogli spazi di speranza, di fiducia, di coraggio, di forza caratteriale, per sostenerlo nella sua dignità e nella sua fiducia che il domani mantenga ancora la sua promessa in frutti e raccolti.
Ed è lo sguardo del minatore che va a cercare l’elemento prezioso, la vena giusta da seguire, non solo per giustificare il suo sforzo e la sua fatica quotidiana, ma per nutrire proprio quella speranza, quella fiducia che la benedizione del Signore sia su di lui, sia visibile e concreta ancora in un pezzo di terra prezioso, che da secoli aspetta di essere riportata alla luce.
A volte il lavoro può sembrare una condanna ed in verità il peso lo si sente nelle proprie membra compresse dalle oscurità ed amenità dei vicoli sotterranei e sembra sempre più dura e poco solidale la terra, ma quel poco di lume sulla fronte o quella lanterna traballante e oscurata dalla polvere regalano sempre un sorriso, un sospiro di sollievo, un tonfo di orgoglio nel proprio cuore quando irradia e mette in luce, colpisce e fa riflettere ciò che si è cercato, ciò per cui si è dato
tanto. Nel nostro caso, la fluorite, questo “fiore vitreo”, che rinfrange raggi violetti ed azzurri quasi a farsi riconoscere come premio e frutto sempre nuovo ed inaspettato.
Ed è lo sguardo del minatore che può ammirare con fede ciò che ha trovato, perché il Creatore lo ha di nuovo benedetto, è lì ancora compagno di lavoro, alla ricerca proprio di questa fede, di questa piccola testimonianza di fiducia nel domani che fa tanto grande l’uomo di fronte al suo Signore. La fede è la capacità di vedere lo splendore dell’amore di Dio verso
gli uomini nelle cose della vita, nell'umiltà della propria carne umana l’incontro con i segni della presenza di Dio, della sua incarnazione.
Il minatore sa che la preziosità di quel materiale è più della sua paga, è più dei suoi sforzi, ma andrà ad arricchire qualcun altro, il padrone forse, altri di sicuro, ma non ne è geloso o risentito, perché il suo lavoro, quando raggiunge il suo scopo, lo appaga già, gli riempie il cuore perché il suo dovere nei confronti di chi ama si realizza e perché la benedizione incontrata gli apre il desiderio di una umanità più preziosa, più giusta, più vera, di un regno “oltre”, che sporge dalla terra e si innesta nei cieli. E lo sguardo di Dio non può che tradursi in Parola: “Venite a me voi tutti affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò.”
Proprio il Natale ci permette di capire quanto Dio operi il suo venire, operi il suo ristoro, là dove l’uomo lavorando la terra cambia se stesso, umanizza se stesso, riempiendo carrelli di forza e di amore, di luce e speranza, di libertà interiore, di sudore della fronte che toccato dalla fievole luce delle torce risplende di una preziosità migliore della fluorite.
Certo che gli uomini hanno limiti e debolezze, sono spesso diffidenti, gelosi, egoisti, ripiegati su se stessi e il loro compito di custodire la terra, di edificare una società giusta, di costruire fraternità rischia di naufragare, ma Dio non smette di incarnarsi in storie concrete, di persone concrete, non smette di aiutare gli uomini chiedendo di venire ad abitare come Tenerezza divina proprio nel loro corpo, nelle loro fatiche e nel loro compito di lavorare la terra di tutti. Anche
Lui dà una mano a riempire i carrelli della vita che, dalle profondità dei cuori degli uomini, soprattutto se sofferenti e appesantiti dal fango della terra, possano arrivare alla luce del traguardo, alla terra nuova dove tutti rinascono come figli nella Tenerezza divina di un Padre.
“Questa luce veniva nel mondo, luce vera che illumina ogni uomo” (Gv. 1). Cosa vuol dire che illumina ogni uomo?
Vuol dire che l’uomo scopre il senso della sua esistenza, scopre la dimensione infinita del suo essere, scopre le ragioni del suo operare e magari anche del suo soffrire, le ragioni della sua dignità, della sua grandezza. Il vangelo ha un segreto: l’accettazione di una compagnia divina.